UE congela i beni russi: farsa europea e doppia buffonata del governo italiano in diretta istituzionale
L’Unione Europea ha avuto una svolta clamorosa. No, tranquilli: non ha deciso di abbassare le tasse, semplificare la burocrazia o sistemare i tappi delle bottiglie.
Ha deciso di congelare a tempo indeterminato i beni russi. E questa volta sul serio, senza il fastidioso rito del “ci rivediamo tra sei mesi per votare di nuovo”.
Con 25 Stati favorevoli e 2 contrari, Bruxelles ha approvato una norma basata sull’articolo 122 del TFUE che rende l’immobilizzazione degli asset russi meno aleatoria e soprattutto più comoda per usarli come garanzia finanziaria a favore dell’Ucraina. Traduzione: i soldi restano lì, finché Mosca non paga il conto.
Parliamo di circa 210 miliardi di euro. Spiccioli, se sei una superpotenza.
Congelare per convincere Putin alla pace (o per farlo incazzare di più ?)
Secondo l’Alta rappresentante UE Kaja Kallas, l’obiettivo è chiarissimo:
i fondi restano congelati finché la Russia non risarcisce integralmente l’Ucraina.
Una dichiarazione che suona solenne, determinata e inflessibile… finché non la si rilegge con un minimo di realismo.
Perché l’idea che Vladimir Putin, dopo anni di guerra, sanzioni, isolamento e propaganda, decida improvvisamente di pagare 210 miliardi di euro per “sbloccare” dei fondi ricorda più un esercizio retorico che una strategia geopolitica.
Il messaggio, in sostanza, è questo:
“Teniamo i soldi fermi e speriamo che qualcuno, prima o poi, si convinca.”
Nel frattempo, Kallas assicura che l’UE continuerà ad aumentare la pressione, formula ormai standard che a Bruxelles viene usata quando non si sa più cos’altro fare, ma bisogna comunque sembrare risoluti.
Anche Ursula von der Leyen accoglie con entusiasmo la decisione, parlando di segnale forte a Mosca e di costi che continueranno ad aumentare.
Un copione già visto:
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guerra che continua →
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dichiarazione grave →
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“segnale forte” →
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conferenza stampa →
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guerra che continua.
Nel racconto della Presidente della Commissione, l’Europa appare come un gigante morale che, a colpi di comunicati, si convince di stare influenzando il campo di battaglia.
Peccato che, mentre Bruxelles invia segnali, Mosca continui a muovere carri armati, e il “tavolo dei negoziati” resti un concetto molto più citato che praticato.
La sensazione è che l’UE stia parlando soprattutto a se stessa, cercando di trasformare una decisione tardiva in una dimostrazione di leadership che, nei fatti, arriva quando le alternative politiche si sono già esaurite.
L’Italia dice sì. Poi spiega perché sì, ma anche no. Ed è qui che scatta la buffonata
Il governo italiano, insieme a Belgio, Bulgaria e Malta, vota a favore.
Fin qui tutto bene (si fa per dire): sostegno all’Ucraina, linea europea condivisa, applausi.
Poi però arriva la dichiarazione aggiuntiva di Palazzo Chigi.
Quella in cui l’Italia sente il bisogno di precisare che decisioni di tale portata dovrebbero essere precedute da un confronto politico, evitando “fughe in avanti tecniche”.
Ed è qui che la situazione diventa grottesca.
Perché l’Unione Europea approva una decisione giuridicamente traballante, politicamente tardiva e strategicamente discutibile, e l’Italia riesce nell’impresa di apparire ancora più ridicola:
vota sì a una misura che è già una mezza buffonata europea…
ma lo fa prendendone le distanze a parole, come se fosse capitata lì per sbaglio.
In pratica:
“Siamo d’accordo, ma non troppo. Abbiamo votato sì, ma attenzione: noi l’avevamo detto che era una cosa grossa.”
Una doppia buffonata:
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europea, perché si spaccia per svolta epocale ciò che è un congelamento reso eterno per mancanza di coraggio politico;
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italiana, perché si sostiene una decisione e contemporaneamente la si critica, riuscendo a non contare nulla né prima né dopo.
Mattarella: la guerra non si fa per fare la pace (grazie, lo sapevamo)
Nel frattempo il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella fa quello che, paradossalmente, in questo contesto risulta rivoluzionario: dire cose sensate.
Niente equidistanze, niente “pace a ogni costo”, niente vittorie morali immaginarie:
la guerra di aggressione resta tale, e non può trasformarsi magicamente in una pace giusta solo perché qualcuno è stanco di parlarne.
Il principio è elementare, ma evidentemente va ripetuto:
non si muove guerra per fare la pace.
E no, non esiste una pace che premi l’aggressore senza distruggere il diritto internazionale.
In conclusione
L’Europa congela i beni russi a tempo indeterminato.
Una decisione tardiva, politicamente fragile, ma finalmente non rinnovabile come un abbonamento dimenticato.
L’Italia partecipa, vota sì, e riesce comunque a distinguersi… nel modo peggiore possibile, aggiungendo confusione a una scelta già confusa.
I soldi restano lì.
Congelati.
Come la credibilità politica di chi pretende di fare la voce critica dopo aver alzato la mano.
