Rosy Bindi e la nuova matematica dell’astensione: benvenuti nel Paese governato… da chi vota

In Italia la fantasia non manca mai. Nemmeno quando si parla di numeri.
L’ultima trovata arriva da Rosy Bindi che, ospite in TV, ha deciso di riscrivere le basi dell’aritmetica politica: secondo lei, il governo Meloni sarebbe “espressione di una minoranza”, perché il 55% di astensione sarebbe in gran parte potenziale elettorato di centrosinistra.

In pratica: non voti? Allora sei di sinistra, solo che ancora non lo sai.

La nuova equazione della Bindi:

Astensione = Elettorato di centrosinistra

Il ragionamento è più o meno questo:

  • alle urne va meno della metà degli aventi diritto;

  • chi non vota, in larga parte, sarebbe deluso dal centrosinistra;

  • quindi è “potenziale elettorato” progressista;

  • quindi, se solo si svegliasse, la maggioranza del Paese non sarebbe con Giorgia Meloni.

È una logica comoda:

  • non voti → ti considero comunque mio;

  • se voti destra → sei momentaneamente confuso;

  • se voti sinistra → finalmente sei tornato sulla retta via.

È un po’ come dire:

Tutti quelli che oggi non comprano la mia pizza sono in realtà miei clienti potenziali, quindi il miglior pizzaiolo della città… sono io.

Peccato che, nel mondo reale, contino i voti espressi, non quelli immaginari.

Il problema non è la destra: è la realtà

Secondo la Bindi, “noi oggi siamo governati da una minoranza”.
Peccato che:

  • Fratelli d’Italia sia stabilmente primo partito nei sondaggi, sopra il 30%;

  • la coalizione di centrodestra abbia vinto le elezioni con una maggioranza chiara;

  • il Parlamento sia stato eletto da chi si è preso la briga di alzarsi dal divano e andare al seggio.

Che l’astensione sia un problema serio è evidente.
Ma trasformarla magicamente in “elettorato di centrosinistra che attende solo di essere risvegliato” è un esercizio di fantasia, non di analisi politica.

L’astensione, spiace dirlo, non è un patrimonio ideologico:

  • non è “di sinistra”;

  • non è “di destra”;

  • è il sintomo di una distanza generale tra cittadini e politica.
    E riguarda tutti: maggioranza e opposizione.

La replica di FdI: “La minoranza era la vostra”

Fratelli d’Italia, ovviamente, non ha perso l’occasione per rispondere.
Sui social è arrivata la stoccata:

“Siamo stati governati da una minoranza: era la vostra”.

Il riferimento è chiaro: gli anni dei governi di centrosinistra (o tecnici appoggiati dal centrosinistra) nati:

  • senza passare dalle urne;

  • o con maggioranze costruite in Parlamento;

  • o con coalizioni fragili e tutt’altro che “schiaccianti” nel Paese.

Oggi, invece, la fotografia è semplice:

  • il centrodestra ha una maggioranza parlamentare netta;

  • il partito di Giorgia Meloni è il primo nelle urne e nei sondaggi;

  • chi governa è, piaccia o no, il risultato di un voto reale, non di proiezioni su chi non è andato al seggio.

Quando la politica smette di leggere i numeri e comincia a leggerci sopra

Il punto centrale è questo:

  • i numeri delle elezioni sono oggettivi;

  • le interpretazioni politiche… decisamente meno.

Dire che il 55% di astensione è “potenziale elettorato di centrosinistra” significa:

  • assegnare intenzioni a chi non le ha espresse;

  • ignorare che tra gli astenuti ci sono delusi di tutti i colori (politici, non ideologici);

  • usare una frustrazione generale per rivendicare una maggioranza che non c’è.

È una narrazione rassicurante per una certa area politica:

Non abbiamo perso, è solo che il nostro popolo non è venuto a votarci.

Peccato che, nel frattempo, chi è andato a votare abbia deciso chi governa.

Il vero problema nascosto dietro il giochino dei “potenziali elettori”

Se c’è una cosa che questa polemica mette in luce, è un’altra:

invece di chiedersi perché milioni di persone non vadano più a votare, ci si affanna a stabilire di chi sarebbero se un giorno cambiassero idea.

L’astensionismo è comodo finché lo tratti come bacino di voti possibili,
meno comodo quando lo guardi come il risultato di:

  • anni di politiche incomprensibili ai cittadini;

  • mille sigle, mille leader, zero identità;

  • governi nati più nei palazzi che nelle urne (da tutte le parti).

Ma questo richiede autocritica vera.
Molto più semplice dire:

“La maggioranza del Paese non si riconosce in Meloni, solo che non vota”.

Conclusione: governati da chi partecipa, non da chi potrebbe

Alla fine la questione è meno epica di come ce la raccontano:

  • chi vota, decide;

  • chi non vota, delega.
    Non alla “minoranza”, ma a chi si presenta e ottiene i consensi reali.

Il resto è retorica da talk show:

  • l’elettore potenziale,

  • la maggioranza silenziosa “naturalmente di centrosinistra”,

  • il popolo che c’è ma non si vede.

Forse il vero cortocircuito è proprio questo:
c’è ancora chi pensa che il problema sia la destra che vince,
e non una sinistra che continua a contare anche quelli che non alzano la mano.

Perché sì, cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia:
i conti della Bindi, politicamente utili,
aritmeticamente… ancora non tornano.

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