“Pieni poteri, pieni cartelli”: la solita commedia all’italiana in Parlamento
Lo ammetto: a me della politica interessa quanto un tutorial su come piegare perfettamente le lenzuola con gli angoli. Ma ogni tanto guardare il Parlamento è come accendere Netflix e trovare una serie nuova, sempre con gli stessi attori, che litigano da vent’anni con costumi diversi.
Atto I – Le sinistre in versione teatro greco
Appena si parla di “riforma della giustizia”, dalle file di Pd, M5S e Avs parte la standing ovation della protesta: cartelli, urla, toni apocalittici. Conte, casco in testa e megafono in mano (metaforicamente), lancia il solito allarme democratico: “Sta arrivando la dittatura!”.
Schlein, invece, replica in modalità “copione già letto”: “Mani libere, pieni poteri, Orban!”.
Intanto Bonelli e Fratoianni, anche se non erano in aula, trovano comunque il tempo di fare una diretta per spiegare che la riforma “mina l’indipendenza della magistratura”.
Insomma, mancavano solo i cori da stadio e i fumogeni per completare la scena.
Atto II – Il centrodestra versione reality show
Dall’altra parte, i membri della maggioranza si godono la protesta come se fosse una recita scolastica. Gasparri definisce la riforma “epocale” e dai banchi di Forza Italia parte persino un “bu bu” verso i 5 Stelle, roba da talk show pomeridiano più che da Senato della Repubblica.
Lucio Malan, con tono da insegnante di storia, ricorda che “tre governi sono caduti per inchieste finite nel nulla”, quasi a dire: “Cari ragazzi, studiate la lezione prima di urlare.”
Atto III – Scarpinato accende i fuochi d’artificio
Nel mezzo, Scarpinato del M5S decide di alzare il volume: nomina Berlusconi, Dell’Utri, Cosentino, Formigoni e tutto l’album di figurine della politica giudiziaria italiana. Un classico: tirare fuori vecchie ferite per far scaldare gli animi. Missione compiuta, gli animi si sono infuocati eccome.
Epilogo – E io? Sto qui con i popcorn
Mentre loro si accusano a vicenda di voler instaurare la dittatura o di difendere i giudici ribelli, il Paese reale probabilmente è rimasto a chiedersi: “Ma alla fine, cosa cambia per noi?”
Spoiler: poco.
Io continuo a non tifare per nessuno, perché questa non è una partita è più una fiction a puntate, con attori che non vanno mai in pensione.
La prossima puntata? Il referendum confermativo, che promette nuove urla, nuovi cartelli e nuovi elmetti.
