Le previsioni infallibili (a rovescio) dei fact-checker

Dal “Putin ha finito le risorse” al “sarà solo un’influenza”: il museo delle verità a tempo determinato (e dei fact-checker assoldati dai social).

Ci fu un tempo, non troppo lontano, in cui bastava un logo, un tono serio e una data precisa per trasformare qualsiasi opinione in verità assoluta.

Erano i giorni gloriosi dei fact-checker, i nuovi oracoli del web, quelli che separavano il grano dalla fake news.
Peccato che, col passare del tempo, abbiano confuso i ruoli: il grano lo buttavano via e le fake le raccoglievano.

L’immagine qui sopra è un piccolo gioiello da museo:

“Putin non ha più risorse, in 2-3 settimane dovrà fermarsi.”
Datato 4 marzo 2022.

Oggi siamo a novembre 2025, e indovinate un po’? Putin è ancora lì, la guerra pure, e i fact-checker… non pervenuti.

Gli stessi paladini della verità erano stati assoldati dai social network per fare il fact-check automatico dei post, bloccando quelli “non conformi” prima ancora che fossero pubblicati.
Un ruolo che, almeno nelle intenzioni, doveva proteggere l’informazione.
Nella pratica, è diventato un gigantesco spettacolo di previsioni sbagliate, certezze traballanti e realtà che si vendicava col senno di poi.

La maggior parte delle volte sono stati contraddetti dai fatti, ma invece di ammettere l’errore o chiedere scusa, hanno semplicemente voltato pagina come se nulla fosse.

E c’è un dettaglio che non sfugge: i fact-checker non contraddicono mai la versione ufficiale.
Quella che “arriva dall’alto”, che scende come un bollettino quotidiano, la prendono, la impacchettano e la timbrano come “verità certificata”.

In fondo, è più comodo correggere i post della gente che mettere in dubbio chi decide cosa sia “vero”.

Perché, purtroppo, non esistono i fact-checker dei fact-checker.
E se esistessero, probabilmente verrebbero subito segnalati per “disinformazione”.

E poi c’è stato il fenomeno Puente: per molti utenti dei social era diventato una sorta di oracolo moderno, la voce ultima e definitiva sul cosa fosse vero o falso.
Quando commentava una notizia, bastava il suo nome per chiudere qualsiasi discussione.
Non pochi scrivevano convinti:

“Non è vero, l’ha detto anche Puente.”
Un riflesso quasi religioso, segno di quanto la fiducia cieca possa essere pericolosa quanto la disinformazione stessa.

Ma la parte più inquietante è che alcuni fact-checker, se venivano contraddetti in modo troppo deciso, reagivano scatenando vere e proprie “guerre digitali” contro chi li aveva messi in discussione.
In certi casi, hanno pubblicato dati personali, profili e informazioni private dei commentatori più critici, arrivando perfino, in alcune occasioni, a colpire persone che non c’entravano nulla, solo perché condividevano un nome simile o una semplice opinione discordante.
Un modo di “verificare” che somigliava più a un tribunale social che a un servizio di informazione.

La verità, oggi, è che i fact-checker hanno perso il loro “fact”.
Restano solo i “checker”: bravissimi a spuntare caselle su fogli Excel, un po’ meno a interpretare la realtà.

Ma tranquilli, la prossima previsione è dietro l’angolo:

“Nel 2026 il mondo sarà un posto migliore.”
A meno che non lo controllino i fact-checker.

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