Trump, Putin e la moda delle diagnosi creative: il nuovo sport olimpico del giornalismo mondiale

C’è chi colleziona francobolli, chi fa running, e chi, categoria sempre più diffusa nelle redazioni, passa le giornate a inventare malattie per i presidenti. È una passione, una vocazione, quasi un’arte.

Dopo anni passati a “medicalizzare” Vladimir Putin con presunte metastasi, decine di malanni terminali, Parkinson immaginari e analisi dettagliate del suo colore di pelle (manco fosse un pantone), ora i media hanno trovato un nuovo giocattolo: Donald Trump versione secondo mandato.

Ed eccoci qui, alla nuova tendenza del momento:
il presidente come paziente immaginario.
Un format così collaudato che Netflix dovrebbe farci una serie.

Prima Putin, ora Trump: cambiano i nomi, non il copione

Con Putin era facile: qualunque suo movimento veniva analizzato come se fosse una scena del Dr. House.

  • Appoggia una mano al tavolo → “Ha il Parkinson”.

  • Fa una smorfia → “Metastasi al fegato”.

  • Tira un respiro profondo → “Polmoni disastrati”.

  • Non tira un respiro profondo → “Polmoni ancora più disastrati”.

Trump sta vivendo lo stesso trattamento.
Ha 79 anni? Ecco il titolo: “Declino cognitivo”.
Si appisola 3 secondi in una riunione? “Collasso imminente”.
Ha una caviglia gonfia? “Circolazione compromessa, presidenza finita”.
Si trucca le mani? “Tentativo di occultare lividi sospetti”.

Siamo alla fase in cui se tossisce, CNN manda in onda una puntata speciale con sei medici in collegamento e un grafico animato dell’esofago.

L’agenda corta? Ma dai, è anziano, non un cyborg

Tra le mille accuse travestite da analisi clinica, la più gettonata riguarda la sua agenda “ridotta”.
“Lavora meno”, “fa meno apparizioni”, “inizia dopo mezzogiorno”.

Sì, certo.
Il presidente degli Stati Uniti ha quasi 80 anni.
Chi si aspettava?
Un turno alle acciaierie di Pittsburgh con straordinari non pagati?

Ma per i giornalisti la realtà è troppo banale.
Meglio immaginare un declino cognitivo, una sincope imminente, una sindrome rara che si manifesta solo a mezzogiorno e solo quando si parla di farmaci dimagranti.

Il concetto di salute da redazione: “se respira, c’è un problema”

Trump fa una risonanza magnetica.
Normale? No, sospetto.
Fa un ECG.
Normale? Troppo normale.
Dice di sentirsi bene?
Ah beh, allora di sicuro sta nascondendo qualcosa.

La Casa Bianca dice “tutto a posto”.
I giornalisti rispondono:
“Vedremo… abbiamo già scritto cinque articoli pronti sull’ipotesi opposta.”

La medicina è una scienza, il giornalismo moderno un thriller.

Il paradosso supremo

Se davvero Trump fosse malato, i media direbbero:
“Lo sapevamo, lo avevamo previsto, lo avevamo raccontato.”

Se invece non lo è, come sembra finora, la narrativa diventa:
“Eh, ma potrebbe esserlo. Forse. Un giorno. In teoria. Chi lo sa? Scriviamo un altro pezzo.”

È la sindrome della sfera di cristallo:
immaginare la malattia, poi cercare le prove… o crearle.

Conclusione: per essere un leader mondiale, devi soprattutto sembrare immortale

Nell’era dei social, dei meme e dei 4K ultra-zoom, i presidenti devono essere perfetti, instancabili, sempre lucidi, sempre sorridenti, sempre apparecchiati.
E guai a mostrare una palpebra stanca: ti diagnosticano la peste bubbonica in diretta.

Putin lo sa bene.
Trump lo sta scoprendo di nuovo.
E noi, poveri spettatori, assistiamo allo show con una certezza:
la salute dei presidenti non è più una questione medica, ma un genere giornalistico.

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