Cucina italiana Patrimonio dell’Umanità: finalmente l’ONU riconosce ciò che la nonna sapeva da sempre
L’UNESCO ha finalmente fatto coming out: sì, la cucina italiana è ufficialmente Patrimonio dell’Umanità.
Una rivelazione sconvolgente che nessuno si aspettava, a parte tutti gli italiani, le loro nonne, i loro ristoranti, i loro cugini emigrati e pure il gatto che sa distinguere una carbonara da un’eresia.
La premier Giorgia Meloni ha celebrato l’evento con un videomessaggio trionfale:
«Abbiamo creduto in questa sfida e abbiamo vinto».
Che poi, suvvia: se la sfida era convincere il mondo che la cucina italiana è straordinaria, è un po’ come vantarsi di aver battuto un tostapane a MasterChef.
“La nostra cucina è cultura, tradizione, lavoro…”
Meloni ricorda che la nostra cucina non è solo “cibo”, ma cultura millenaria, tradizioni che sopravvivono più dei partiti politici e una filiera che parte dal campo e finisce nel piatto passando per tre litigi sulla ricetta originale.
E infatti esportiamo già 70 miliardi di euro di prodotti agroalimentari.
Sì, 70 miliardi: praticamente il PIL della nonna.
Ma ora, grazie all’UNESCO, potremo proteggere ancora meglio i nostri piatti da imitazioni imbarazzanti come il “parmisan”, il “mascrapone”, la “carbo-nada” con la panna e altri crimini contro l’umanità culinaria.
Una vittoria “di squadra”, soprattutto di chi mangia
La premier ha anche ringraziato gli italiani, quelli all’estero, chi ci ama nel mondo e probabilmente pure chi ha condiviso la notizia su WhatsApp alle 7 del mattino.
Il messaggio finale:
“Viva la cucina italiana! Viva l’Italia!”
E come darle torto: se c’è qualcosa che ci mette d’accordo più del calcio e più dei meme sui politici, è proprio la cucina.
Che ora, finalmente, è patrimonio dell’umanità.
Era ora: tutto il mondo mangiava italiano… mancava giusto la carta bollata.
Ma chi c’era prima?
Vale la pena ricordare che l’UNESCO aveva già riconosciuto alcune cucine nel mondo.
Spoiler: ora potranno dire “siamo patrimonio UNESCO”… ma con la stessa sicurezza con cui un monopattino elettrico si definisce “mezzo di trasporto”.
La Gastronomia Francese
La cucina francese è stata la prima a salire all’Olimpo dell’UNESCO.
Onore al merito: servono davvero coraggio e fantasia per trasformare qualsiasi cosa in una salsa, anche ciò che non dovrebbe esserlo.
Ma il vero capolavoro è un altro: i piatti francesi non si capiscono. Mai.
Non capisci il nome, non capisci la descrizione e soprattutto non capisci cosa stai mangiando.
Ti ritrovi davanti un miscuglio colorato con un nome altisonante tipo “Émulsion de quelque chose”, e l’unica cosa che puoi fare è annuire con aria esperta sperando che non sia un ex-abitante del giardino.
E comunque, un popolo che chiama “entrée” l’antipasto, “plateau” il piatto e “au revoir” qualunque cosa, meritava almeno un riconoscimento linguistico.
Il Washoku (cucina tradizionale giapponese)
Sofisticata, elegante, minimalista: tutto bellissimo…
Peccato che dopo due ore hai di nuovo fame e ti ritrovi al supermercato a comprare un trancio di pizza surgelata per sopravvivere alla notte.
Però applausi per la capacità di servire pesce crudo come fosse un dono divino invece di un “oh no, non ho fatto in tempo a cucinarlo”.
La Cucina Messicana
Colorata, vivace, saporita.
Unico problema: dopo un pasto tipico, l’UNESCO dovrebbe riconoscere anche te come bene immateriale, perché l’indomani mattina la tua anima abbandona il corpo e tu capisci il vero significato del termine “fuego”.
Comunque, rispetto massimo: le tortillas hanno più impieghi del Politecnico.
La Cucina Coreana (Hansik)
Kimchi a colazione, kimchi a pranzo, kimchi a cena.
A un certo punto non sai più se stai mangiando o se stai marinando il tuo apparato digerente in un’acquasantiera di fermentazioni.
Però complimenti: riescono a far sembrare salutare anche un piatto che odora come l’armadietto della palestra dopo tre giorni.
La differenza sostanziale: loro hanno 10 piatti, noi ne abbiamo 10.000
E già che ci siamo, facciamo notare un piccolo dettaglio che spesso sfugge:
molte delle cucine già patrimonio UNESCO si reggono su una decina di piatti iconici, più o meno sempre gli stessi, ripetuti all’infinito e spacciati come “cultura millenaria”.
Noi invece abbiamo:
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la cucina regionale,
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la cucina provinciale,
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la cucina comunale,
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la cucina del quartiere,
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e in certi casi perfino la cucina della famiglia.
L’Italia non ha un patrimonio culinario: ha un multiverso gastronomico, con migliaia di piatti diversi che cambiano spessissimo nel raggio di venti chilometri.
Tu attraversi un ponte e scopri che la stessa ricetta viene fatta in altri 4 modi diversi.
Altro che dieci piatti standard: abbiamo un catalogo così vasto che Netflix potrebbe farci tre stagioni di documentari senza ripetere una ricetta.
La diatriba secolare: chi ha inventato davvero la pasta? E la pizza?
E ora che la cucina italiana è ufficialmente patrimonio UNESCO, prepariamoci alla rissa culturale che si ripresenta puntuale come il cinepanettone a Natale.
La pasta: Italia vs. Cina, il ritorno del classico
Ogni volta che un italiano dice “la pasta è nostra”, spunta da qualche parte un cinese con un libro di storia in mano pronto a ricordare che loro facevano spaghetti quando noi ancora barattavamo pecore e sale.
Gli italiani rispondono che sì, forse l’idea di “filo di farina” era cinese, ma la pasta come Dio comanda (cioè al dente, non alle 6 del mattino del giorno dopo) è senza dubbio nostra.
E in tutto questo, Marco Polo viene tirato in mezzo più spesso di un influencer nei commenti di TikTok.
La pizza: Grecia? Napoli? O un miracolo cosmico?
Secondo i greci, la pizza l’hanno inventata loro perché avevano delle focacce rotonde millenni fa.
Gli italiani rispondono che se la pizza fosse greca, oggi la “margherita” sarebbe con feta e olive, e avremmo risolto la discussione in mezzo minuto.
Gli americani, non richiesti, intervengono dicendo che la pizza moderna l’hanno inventata loro.
No comment.
La realtà?
La pizza così come la conosciamo noi, con la sua dignità, il suo orgoglio, la sua napoletanità che ti osserva e ti giudica se metti l’ananas, è italiana.
Chiunque altro pretenda paternità dovrebbe prima presentare un certificato di nascita e una foto con il cornicione.
Conclusione
E così, mentre il mondo discute se la pizza sia nata prima in Grecia, in Italia o in un universo parallelo… mentre i francesi frullano qualunque cosa fino a renderla irriconoscibile… mentre i giapponesi servono piatti così minimalisti che devi immaginarti la seconda portata… e mentre i messicani ti lasciano un ricordo indelebile nello stomaco e nel karma…
…l’Italia, finalmente, riceve dall’UNESCO ciò che le spettava da sempre.
E allora eccoci qui, davanti al nostro patrimonio culinario, a chiederci , un po’ come l’amletico principe danese, non “essere o non essere”, ma “mangiare o non mangiare?”
Domanda inutile, perché noi italiani la risposta la conosciamo da secoli:
si mangia. Sempre. Bene. E senza chiedere permesso.
Perché la cucina italiana non è solo patrimonio dell’umanità.
È la prova vivente che, quando l’Italia decide di essere se stessa, il mondo può solo sedersi, tacere… e chiedere il bis.
