CGIL: il sindacato dei lavoratori… che non lavorano più (e che blocca chi lavora davvero)

La CGIL continua a presentarsi come “il sindacato dei lavoratori”.
Peccato che, a guardare i numeri, sembri più la Confederazione Generale Italiana dei Lavoratori in Pensione.
Su oltre 5 milioni di iscritti, quasi 2,4 milioni sono pensionati.
In pratica, metà della sua base non lavora più, ma continua a decidere chi deve scioperare e quando.

Difendere il lavoro… impedendo di lavorare

Negli ultimi mesi la CGIL sembra aver riscoperto la passione per la piazza.
Scioperi quasi ogni settimana, blocchi dei trasporti, manifestazioni a catena, disagi ovunque.
Si protesta “in nome dei lavoratori”, ma il risultato è che chi lavora davvero non riesce nemmeno ad arrivarci, al lavoro.
Aerei fermi, treni cancellati, metro chiuse, traffico paralizzato: la solita ricetta vincente per “difendere i diritti”.

E poi c’è la coincidenza più curiosa: gli scioperi cadono sempre di venerdì o di lunedì.
Mai un mercoledì, mai un giovedì.
Chissà perché.
Forse il “diritto al lavoro” include anche il diritto al weekend lungo, con tanto di bandiere e panini imbottiti al seguito.

Proteste a orologeria

Ma la cosa più buffa è un’altra: quando al governo c’erano quelli “amici”, gli scioperi erano improvvisamente meno urgenti.
Niente manifestazioni oceaniche, niente blocchi dei treni, niente scioperi “a oltranza”.
Strano, vero?
Sembra quasi che la rabbia sindacale si accenda solo a colori alterni, in base al partito di turno.
Quando il potere “piaceva”, la CGIL diventava pacata, riflessiva, quasi zen.
Ora invece è di nuovo in trincea, urlando al microfono contro qualsiasi decisione, anche le più ragionevoli.
Insomma, la coerenza è stagionale: va e viene come le ferie.

Contraddizioni a catena

Da un lato, la CGIL proclama di lottare “per i giovani e il futuro del lavoro”.
Dall’altro, difende a spada tratta un sistema pensionistico che i giovani non vedranno mai.
Parla di innovazione e di diritti moderni, ma continua a comportarsi come se fossimo ancora negli anni delle fabbriche a sirena.
Nel frattempo, chi davvero affronta contratti precari, partita IVA e tasse da capogiro si sente più rappresentato… da un call center.

E mentre il mondo discute di intelligenza artificiale e digitalizzazione, la CGIL sembra ferma al fax e alla macchina da scrivere Olivetti.
Il suo vero motto, ormai, potrebbe essere:

“Fermi tutti, che se lavorate troppo poi non possiamo scioperare!”

Nemmeno gli altri sindacati li seguono più

CISL e UIL, gli altri storici sindacati, sembrano aver perso la pazienza.
Quando Landini annuncia l’ennesimo sciopero, la CISL prende le distanze, la UIL si smarca con eleganza e il resto del Paese sospira.
Il sindacato che un tempo gridava “Uniti nella lotta” ora rischia di restare solo con il megafono in mano, mentre gli altri si chiedono se sia il caso di “unirsi nel weekend”.

Le battaglie “strane” degli ultimi anni

Giusto per rinfrescare la memoria:

  • Scioperi a raffica, anche contro riforme utili ai lavoratori.

  • Blocchi di infrastrutture che impediscono a milioni di persone di lavorare.

  • Proteste “a senso unico”, rumorose con alcuni governi e silenziose con altri.

  • Nessuna proposta concreta per ridurre il cuneo fiscale o semplificare il lavoro autonomo.

  • E difesa ossessiva dei “diritti acquisiti”, anche quando sono a discapito delle nuove generazioni.

Guardare al futuro? No, meglio lo specchietto retrovisore

Mentre il mondo corre verso il futuro, la CGIL resta ancorata a un passato che non esiste più.
Le nuove sfide del lavoro – digitali, flessibili, globali – non fanno parte del suo vocabolario.
L’importante è continuare a bloccare qualcosa, meglio se un treno o un autostrada, perché “fa notizia”.
Ma la vera domanda è: può un sindacato che vive nel passato e protesta a giorni alterni rappresentare davvero chi lavora nel presente?

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