Gli insulti di sinistra e insulti di destra sui social sono diventati una specie di sport nazionale, con la differenza che nello sport almeno ogni tanto qualcuno corre davvero. Qui no: qui si corre solo dietro alle parole degli altri. E la cosa più comica, anzi, tragicamente comica, è che a fare i duri, i puri, i paladini, spesso sono persone che non sanno neppure cosa stanno difendendo. Difendono una maglia. O meglio: un meme.
La verità è che i social hanno trasformato la politica in una curva da stadio. Il tifo non richiede competenza: richiede fedeltà. E infatti il “difensore d’ufficio” medio non legge un programma, non conosce una norma, non distingue un decreto da un post indignato, ma riesce a scrivere trenta commenti al minuto con la stessa sicurezza con cui uno spiega la fisica quantistica dopo aver visto un reel di otto secondi.
Poi ci stupiamo se il dibattito è morto. Non è morto: è stato sostituito. Al posto delle idee abbiamo l’etichetta pronta. Al posto dell’argomentazione abbiamo la parola-chiave che fa scattare l’applauso della propria tribù: “fascista”, “comunista”, “radical chic”, “boomer”, “zecca”, “buonista”, “analfabeta funzionale”. Termini presi in prestito, ripetuti come rosari laici, spesso senza capirli davvero. Perché la cosa importante non è che siano veri: è che funzionino come clacson. Fai rumore, segnali la tua presenza, ti senti parte di qualcosa.
E qui arriva la parte più gustosa: questi guerrieri da tastiera sono convinti di fare “militanza”. In realtà stanno facendo lavoro gratuito. Sono il reparto marketing a costo zero. Diffondono parole d’ordine, alzano la temperatura, tengono vivo l’odio di giornata, si scannano con sconosciuti che non cambieranno mai idea. E mentre loro si insultano come se fosse questione di vita o di morte, la politica guarda la scena come si guarda un reality: divertita, interessata e perfettamente consapevole che comunque vada, qualcuno ci guadagna. Spoiler: non sono loro.
Perché il politico vero non vive di “verità”, vive di attenzione. E l’attenzione oggi non la prendi con un ragionamento, ma con una rissa. Il “difensore d’ufficio” è perfetto: non chiede complessità, chiede bersagli. Non vuole capire, vuole vincere. E siccome non può vincere sulle idee (che richiedono studio, fatica, memoria), vince sul piano che conosce: l’insulto.
Quello di sinistra, mediamente, insulta sentendosi superiore. L’offesa arriva con l’alibi morale: “non ti sto insultando, ti sto smascherando”. Quello di destra, mediamente, insulta sentendosi “realista”: “io dico le cose come stanno”. Due stili diversi, stesso risultato: nessuno dialoga, tutti si eccitano. È una liturgia. E come tutte le liturgie, rassicura: ti conferma che sei dalla parte giusta senza dover dimostrare nulla.
Il bello è che spesso questi gladiatori digitali si credono indispensabili. “Se non ci fossimo noi a difendere…”. E invece sono utilissimi, sì ma non a chi pensano loro. Sono utilissimi a chi deve semplificare tutto in slogan, a chi deve vendere indignazione in comode dosi giornaliere, a chi preferisce cittadini arrabbiati piuttosto che cittadini informati. Perché un cittadino informato è complicato: fa domande, pretende spiegazioni, ti inchioda sui fatti. Un cittadino tifoso è un sogno: basta dargli un nemico e lavora da solo.
E allora eccoli lì: a litigare su parole che non hanno inventato, a ripetere concetti che non hanno verificato, a sentirsi protagonisti di una battaglia epocale che, nella pratica, si risolve in un “blocked” e due emoji. Nel frattempo la realtà, bollette, stipendi, servizi, tasse, sanità, scuola, resta sullo sfondo. Ma vuoi mettere la soddisfazione di dare del “venduto” a uno che non conosci?
La conclusione è semplice e fa un po’ male: gli insulti di sinistra e insulti di destra non sono coraggio politico. Sono la prova che la politica ha vinto due volte. Prima, perché ha ridotto il dibattito a uno scontro di identità. Poi, perché ha convinto gente comune a difenderla gratis, con una foga che non mette neppure quando deve difendere sé stessa davanti a un contratto, una bolletta o una truffa telefonica.
E sì: mentre i “difensori d’ufficio” si scannano, chi sta in alto osserva e, metaforicamente, ride. Non perché sia più intelligente in senso assoluto. Ma perché ha capito una cosa banale: se riesci a far litigare i tuoi elettori tra loro, non litigheranno mai davvero con te. E soprattutto non ti chiederanno conto di nulla.