Ilaria Salis e il paragone del ’38: quando la fantasia supera la realtà (e il buon senso scappa via)

Ci sono momenti nella vita pubblica italiana in cui resti senza parole. Poi arriva Ilaria Salis al Parlamento Europeo e capisci che, in fondo, il limite non esiste. Il concetto di “oltre” prende forma, si siede, incrocia le gambe e sorseggia un caffè mentre osservi l’ennesimo volo pindarico di chi confonde la storia con la propria timeline di Instagram.

Salis, in un intervento che definire creativo sarebbe un atto di generosità immenso, decide di spiegare al mondo la differenza fra scafisti e trafficanti. Fin qui, nulla di nuovo: ogni parlamentare ha diritto al suo momento “spiego io come funziona il mondo, voi prendete appunti”.

Il problema è cosa arriva subito dopo.
La deputata, con la calma di una maestra elementare che illustra il ciclo dell’acqua ai bambini, ci regala una perla che entrerà negli annali del pensiero surreale: gli scafisti di oggi sarebbero come coloro che salvarono gli ebrei dalle persecuzioni nel ’38.

Sì, hai letto bene.
No, non stai sognando.
No, non è una sceneggiatura scartata della coppia Guzzanti–Lillo.

La logica parallela (che speriamo non diventi perpendicolare alla realtà)

Salis paragona la tratta dei migranti a quella dei pescatori liguri che, durante le leggi razziali, aiutavano gli ebrei a fuggire in Francia.
Peccato che i pescatori del ’38 non vendessero pacchetti “viaggio + morte probabile + nessuna garanzia di arrivo”, né operassero come multinazionali del crimine che incassano milioni sfruttando disperati.

Ma non preoccupiamoci di questi dettagli da pignoli.
La storia, del resto, è un’opinione.
Il buonsenso? Pure.

Diagnosi europea: delirio di riferimento con contorno di delirio di grandezza

Il tutto è stato presentato con una serenità zen, un’armonia interiore tale da far sospettare che Ilaria Salis, più che un intervento politico, stesse per lanciare un corso online:
“Come reinterpretare la storia in 10 semplici passi – Modulo 1: riscrivi il ’38 a tuo piacimento”.

Secondo alcuni osservatori (cioè tutti quelli con un neurone funzionante), la performance sfiora il delirio di riferimento: quella simpatica condizione in cui uno crede di cogliere significati speciali ovunque… tipo vedere nei trafficanti moderni dei “giusti perseguitati”.

Ma non finisce qui: nel suo sguardo placido sembrava affiorare anche un lampo di delirio di grandezza.
Una sorta di “Sono io che vi illumino, voi seguite la luce”.
Avremmo solo voluto chiederle: “Maestra, possiamo uscire un attimo a prendere aria?”

Morale della favola?

Gli scafisti diventano benefattori, i criminali umanitari, le mafie balcaniche associazioni filantropiche e chi prova a dire “forse non è proprio così” viene trattato come il ripetente dell’anno.

E mentre tutto questo accade, la realtà rimane lì:
la tratta di esseri umani è un crimine.
Non un servizio premium.
Non un atto di giustizia poetica.
Non un remake del ’38.

Ma tentar non nuoce: dopotutto, se uno vuole trasformare il Mediterraneo in un grande romanzo fantasy, almeno che ci metta un po’ di impegno.
Salis, su questo, ha fatto centro.

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