Quando la scuola diventa un safari post-coloniale
Durante la presentazione del Dossier statistico immigrazione, l’assessore alle Politiche educative e interculturali di Reggio Emilia, Marwa Mahmoud, ha deciso che era finalmente giunto il momento di regalarci una nuova perla del vocabolario progressista di ultima generazione.
Secondo lei, i docenti italiani avrebbero bisogno di una “formazione continua” (che già fa curriculum da sola), perché devono imparare a “decolonizzare l’approccio in classe con gli studenti di origine straniera”.
Già me li immagino i professori che entrano a scuola armati non di registri e penne rosse, ma di piccole bandierine ONU pronti a chiedere scusa per l’Impero Britannico, anche se insegnano matematica alle medie a Modena.
E siccome una frase così non basta mai, arriva anche il bis:
«Sarebbe necessaria una formazione continua del personale scolastico, anche di fronte a uno sguardo coloniale al ribasso da parte di chi, ahimè, sta governando il nostro Paese».
Tradotto dal “politichese-woke” all’italiano corrente:
serve rieducare i docenti perché il Governo attuale è brutto, cattivo e pure vagamente coloniale.
Siamo passati dalla grammatica alle colpe storiche collettive nel giro di un pomeriggio.
La scuola come luogo di istruzione? Macché.
La nuova frontiera è la decolonizzazione mentale dei professori, probabilmente colpevoli di spiegare la geografia senza citare il patriarcato globale.
Il Pd di oggi, signori: applausi (o lacrime)
Questa uscita non è un inciampo, non è una frase mal masticata, non è un errore di comunicazione.
È esattamente la rappresentazione del Pd attuale: un partito che riesce a trasformare qualsiasi tema, educazione, immigrazione, scuola, tempo libero, sudoku, in un sermone ideologico calibrato per far sentire in colpa chiunque non si adegui al nuovo vocabolario sociologico.
Mentre il resto del Paese chiede cose banali tipo:
-
più professori
-
classi meno affollate
-
scuole che non crollano
-
programmi didattici comprensibili
…loro sono preoccupati dal “colonialismo implicito” nell’ora di scienze.
Rendiamoci conto davvero: questa roba non è satira.
È realtà. E forse è proprio questo il problema.
