Smart Working: da sogno del lockdown a incubo di call infinite
Tutto è cominciato col lockdown.
Doveva essere una soluzione temporanea: “Lavoriamo da casa, giusto per qualche settimana.”
Poi qualcuno ha scoperto che bastava accendere una webcam per sembrare produttivi… e non siete più tornati indietro.
Il sogno del pigiama (che si è trasformato in una condanna)
All’inizio, il pigiama era il simbolo della libertà.
Niente traffico, niente parcheggi impossibili, niente colleghi che ti raccontano la dieta del cane.
Ma dopo due mesi di smart working, avete capito che la vera prigione non ha mura: ha un microfono disattivato, una connessione instabile e una call su Teams che inizia alle 9 e finisce quando decidi che è meglio fingere un blackout.
Il lavoro? Un dettaglio tra una call e l’altra
Teoricamente dovrerste lavorare.
In pratica, passate più tempo in riunione che a fare ciò per cui la riunione è stata convocata.
Una spirale infinita di “facciamo un punto”, “ricapitoliamo”, “ci aggiorniamo nel pomeriggio”.
A fine giornata, l’unico task completato è “ho sopravvissuto a 7 call consecutive senza uccidere nessuno (forse)”.
E quando finalmente trovi 20 minuti di pace per concentrarti…
suona Teams. È il capo.
Quello che nella call di un’ora fa ti ha detto:
“Mi raccomando, fallo subito, è urgente.”
Peccato che adesso ti chiami per chiederti a che punto sei.
Spoiler: sei fermo, perché ti ha appena interrotto.
Il terrore della webcam (quando serve davvero)
E poi c’è lui: il momento del panico assoluto.
Ti chiama il capo e, come per magia, la webcam non va.
Schermo nero, LED spento, Teams che si blocca proprio quando stavi per dire “ti vedo ma non mi vedi!”.
In quei 30 secondi di terrore puro, passi attraverso tutte le fasi dell’ansia:
-
Negazione (“Sarà un glitch, si sistema da solo.”)
-
Panico (“Oddio, penserà che lo sto ignorando.”)
-
Rassegnazione (“Faccio finta di avere problemi di rete, come sempre.”)
E ovviamente, quando finalmente la webcam riparte… ti mostra con la faccia dell’orrore, i capelli da Einstein e il pigiama di SpongeBob.
Il nuovo ibrido: metà ufficio, metà casa, zero logica
Oggi molte aziende hanno deciso di “trovare un equilibrio”: qualche giorno in ufficio, qualche giorno a casa.
In pratica, il peggio di entrambi i mondi.
Quando sei in ufficio, fai call con chi è a casa.
Quando sei a casa, fai call con chi è in ufficio.
Ma capita anche, siate sinceri, di fare una call in ufficio con chi è nella stanza a fianco.
Alla fine, tutti sono sempre in call, ma in luoghi diversi e con microfoni che rimbombano come una caverna.
E poi c’è sempre quello che in presenza parla nel microfono come se fosse a dieci chilometri, o il collega in smart working che si connette col telefono dal supermercato “per non perdere il punto”.
Complimenti: il progresso è servito.
La malattia del secolo: la “callite cronica”
Durante il lockdown era una novità, una forma di socialità digitale.
Oggi è una vera patologia aziendale.
Le persone non parlano più di “riunioni”: parlano di “call”.
E la call non ha confini. Può iniziare alle 8 del mattino o alle 22:30 di sabato sera, perché “tanto sei a casa, no?”.
Il peggiore è quello che scrive su Teams alle 23:00 con il messaggio:
“Hai due minuti?”
Sì, due minuti per bloccarlo e fingere un guasto al router.
L’illusione del multitasking
Durante le call si finge di ascoltare, ma in realtà si fa di tutto:
stirare, cucinare, scrollare Instagram, o cercare disperatamente una scusa per disconnettersi.
Poi arriva la frase che gela il sangue:
“Tu che ne pensi?”
Panico. Muto attivato, cervello spento, webcam che mostra solo la fronte.
Il ritorno in ufficio (quello vero)
Quando poi qualcuno ha osato dire “torniamo in presenza”, sembrava una bestemmia.
Eppure, dopo mesi di smart working, la sedia scomoda dell’ufficio e la macchinetta del caffè che fa acqua sporca sembrano quasi un lusso.
Almeno lì nessuno ti chiama mentre stai facendo quello che ti hanno appena chiesto di fare nella call precedente.
Morale della favola
Il lockdown vi ha insegnato che si può lavorare ovunque.
Ma vi ha anche dimostrato che il vero lavoro è sopravvivere alle call.
Non lavorate più da casa: vivete in una riunione perenne.
E la prossima volta che il capo dice “una call veloce”,
ricorda: non è mai veloce, e non è mai l’ultima.
